lunedì 17 giugno 2013

Quello che rimane

C'è quello che rimane dopo tutta la guerra. Ed è il senso di appartenenza. La guerra è brutta ma forza l'unione. Per una persona che teme l'abbandono la guerra diventa l'unico modo per trattenere la persona che vuole andarsene.

Un po' come nel sadomaso dove si mettono le manette per gioco e questa messinscena serve semplicemente per far vedere come la persona amata sia nostra, che non vogliamo farla andare via.

Naturalmente c'è gioco e gioco, la guerra del distruttore non è per nulla un gioco, o, meglio, diventa una fantasia nella quale l'avere la forza di lasciare andare la persona equivale a sentire ancora una volta la ferita.

La guerra unisce e quindi si perpetua.

Quello che rimane della ferita della guerra è la voglia di unione, di star vicino, di non sentirsi abbandonati.

martedì 11 giugno 2013

c'è molta sofferenza

Un aspetto collaterale di un percorso di guarigione è vedere quanto le persone attorno stanno soffrendo inconsapevolmente. Più si guarisce e più si vede che c'è sofferenza, che la gente attorno sta male e non lo sa e cerca di proiettare il male all'esterno.

Più il mondo sta male e più il diavolo sembra vero, ma in realtà è solo l'unione dell'inconscio collettivo, la proiezione delle nostre limitazioni.

Un effetto collaterale, dunque, della nostra guarigione è anche quello di essere vaccinati contro l'abuso dell'altro. Se per esempio eravamo delle persone che sfruttavamo le donne, che non le amavamo come persone ma come oggetti, ecco che guarendo cominciamo a vederle per come sono, persone che hanno sofferto, che magari soffrono ancora.

Questo anche per gli amici, il capo, l'amministratore di condominio.

Sono tutte persone che stanno soffrendo, che sono in uno stato addormentato e non lo sanno, prese dai problemi di tutti i giorni, impaurite, deluse, frustrate.

L'effetto collaterale della guarigione è diventare buoni ma ad un livello diverso da prima. Prima di essere guariti pensavamo di essere buoni... ma non lo eravamo, era solo il film che ci proiettavamo in testa.

Successivamente, dopo aver capito quanto abbiamo sbagliato, possiamo accedere ad un diverso tipo di bontà, più empatica e meno razionale.

lunedì 10 giugno 2013

La guerra solitaria

Il ferito nell'anima in realtà non riesce ad avvicinarsi al dolore della ferita originale e fugge. Questo è in pratica il destino karmico delle persone che sembrano sempre avere lo stesso destino, le stesse relazioni, le stesse difficoltà.

Perché non prendono tempo a conoscere il loro limite, non accettano la loro condizione e, così facendo, passano da una situazione all'altra, sperando di trovare quella terra promessa che non è mai stata loro.

Ma la soluzione è capire che quella guerra solitaria è irreale e inutile, perché la guerra non ha altro scopo che nascondere la propria limitatezza, ed anche immaginare una guerra esterna non fa altro che ufficializzare la nostra distanza dal mondo, il nostro rifiuto di credere che, invece, le altre persone possono essere buone, possono avere soltanto un po' di distacco, ma sono buone.

Siamo noi che ci allontaniamo sempre, giudicandole non meritevoli di ciò che ci sembra dovuto, come risarcimento del dolore passato.

sabato 8 giugno 2013

Armature e armati

La guerra del ferito viene trascinata ben oltre l'armistizio; il fatto di avere una possibile vittoria non calma la sete di sangue che è stata innescata in tenera età ed il bimbo che esce vittorioso dalla guerra comunque continua a sentire il suo fascino.

Quando la guerra è reale il bimbo ha la capacità di dare un senso a ciò che vede perché la realtà, anche nelle persone attorno a lui, rispecchia la guerra che esiste in famiglia. Il cibo è razionato, ma anche gli altri bimbi non stanno meglio di lui. La casa è fredda e si sta molto tempo da soli, ma anche gli altri bimbi sono così.

Quando la guerra però è limitata al singolo nucleo familiare il bimbo non può ancorarsi alla realtà. Lui ha il cibo razionato, ma i suoi compagni no. Lui sta da solo, ma gli altri no. Non è ancora presente un senso di ingiustizia, ma il confronto è inevitabile ed in questo confronto il bimbo guerriero ha solo l'arma della de-realizzazione, della farsa in cui, però, è solo un aspetto ad essere messo in ridicolo: ossia la sua esperienza, come fosse un estratto a sorte.

Non è il gioco familiare nella vita è bella. Non è un gioco in cui tutti partecipano e si schianterà dal ridere.

No, è il gioco in cui tu solo sai di dover giocare, l'estratto a sorte come in un gigantesco Truman Show in cui, però, invece di darti una vita nella bambagia, ti è stata data una vita in guerra mentre gli altri, comodi in poltrona, ti guarderanno.

venerdì 7 giugno 2013

secondo a nessuno

Nel definire il nostro ruolo possiamo dire che la nostra unicità è appunto seconda a nessuno, ma non perché siamo meglio di altri, ma perché semplicemente non può esserci secondo in una gara con un solo concorrente.

A meno che questo concorrente, ossia noi, rifiutiamo di partecipare: ossia non essendo noi stessi  Questo è essere secondi a noi stessi.

Ossia aver paura di quello che realmente siamo e del nostro ruolo, mandare avanti invece di noi stessi un avatar, una specie di fantoccio. Questo è il "peccato", forse l'unico peccato che possiamo realmente commettere. Tutti gli altri sono finzioni, i peccati della religione non esistono, o comunque sono perdonabili.

L'unica cosa che nessuno ci può perdonare, nemmeno Lui, è quella di non essere stati noi stessi, perché anche se ci donasse dopo il Paradiso eterno non ci può neppure donare di nuovo questa stessa vita, avere un'altra chance in questo ora che non ritornerà mai.

Anche se ci reincarnassimo saremmo diversi. Insomma... questo è l'unico tempo in cui possiamo essere noi stessi, e volerci bene.

giovedì 6 giugno 2013

Lo specchio

Nell'immagine dentro lo specchio ci sono io, nel mondo che vedono i miei occhi sono sempre io che guardo e quindi il mondo lo vedo attraverso ciò che ho visto prima, ciò che pensavo fosse giusto.

"Cieli nuovi e terra nuova" vengono promessi.

Ma questi cieli sono questi, in realtà la guarigione dona occhi nuovi e tramite questi occhi nuovi si vedono anche cieli e terra nuovi.

Non è l'esterno che cambia, ma sono io, finisco di proiettare la mia incompiutezza e mi vedo completo.

Finisco di proiettare la mia guerra e vedrò pace.

Finisco di proiettare il mio vuoto e vedrò la casa che ho sempre cercato.

Ma per arrivare a questo c'è un attimo di indifesa, l'armatura va tolta e per poco, anche solo un giorno,un mese, un anno (il tempo poi è inesistente) io sarò indifeso, vulnerabile, così credo, agli attacchi.

E' un atto di fede, purtroppo. Non c'è altro che possa cambiare la mia percezione se non un atto di fede e la volontà di farlo. Provo a dare una scaletta, una gradualità, ma alla fin fine la guarigione è sempre istantanea, di questo comincio ad esserne certo.

mercoledì 5 giugno 2013

Andare nel vuoto

Il viaggio verso la propria guarigione avviene dunque entrando sempre di più dentro se stessi, nel vuoto che abbiamo cercato di riempire con ciò che, ora, ci sta facendo del male.

Riconoscere che è stato il vuoto a portarci a questo punto è il passo fondamentale, anche se non si tratta, come spesso diciamo, di incolparci, anzi... il rendersi conto di questo vuoto e della spinta irrazionale e in qualche modo autodistruttiva è il primo passo per capire che in quella situazione non potevamo fare proprio altrimenti ed anzi abbiamo fatto qualcosa di grande perché non ci siamo lasciati prendere totalmente da quel vuoto stesso, altrimenti non saremmo qui a scrivere (o a leggere).

Certo, fanno rabbia, rimpianto, tristezza, tutti gli anni, i soldi le energie sprecate a riempire questo vuoto facendo scelte del tutto inadatte al nostro vero io. Ma questo è quel che c'è ora e se anche c'è voluto un quarto di secolo o più per arrivarci pazienza, questo è quello che si ha.

Più il viaggio è stato lungo più abbiamo accumulato sapere, compassione verso noi stessi e gli altri. Il vuoto è solo concettuale, perché in realtà il vuoto nasce dalla nostra armatura che abbiamo indossato per andare a fare la guerra nel mondo esterno. Per imporre la nostra guerra alle persone attorno a noi.

Questa armatura è ciò che ci ha salvato, forse, in altre vite, da piccoli... forse... ma ora non serve. La possiamo togliere. Ma per toglierla ci vuole il coraggio di dire che questa armatura è ciò che ci ha portato qui, nel bene e nel male. Chiedere scusa, curare chi abbiamo fatto soffrire e chi ha sofferto per altre persone con questa stessa armatura.

Riempire questo vuoto con ciò che abbiamo negato a noi stessi e anche agli altri: la compassione.